martedì 13 settembre 2011

Giuseppe Carracchia


Avere 23 anni ed essere già al quarto libro di poesie attesta perlomeno chiarezza in merito al mestiere che si è scelto. E di «mestiere» parla lo stesso Giuseppe Carracchia ne La virtù del chiodo (L'Arca Felice, 2011) che egli, anche ne Il verbo infinito (Prova d'Autore, 2010), associa all'arte della tessitura, assecondando così l'etimologia ed il destino dello scrivere testi, consistenti nell'intrecciare fili con metodo, avendo un progetto. La sostanza di quest'ultimo, nel caso di Carracchia, è sicura, così come la difficoltà conseguente, nella misura in cui «il verbo», a suo dire, deve incidere la carne pur avendo natura ariosa, ma non essere «solo aria» né «solo carne». Il tutto inseguendo la bellezza, che è cosa viva, «l'inarrestabile cammino verso la vita aperta» come scrive François Cheng citato in esergo. Bellezza e vita, qui, sono la stessa cosa, e lo sa bene Carracchia quando ammonisce e auspica: «Questo ci rimane e questa pare ci avanza / predisporre miracoli e cure, vivere / facendo della vita una danza». Proposito nietzscheano poi amato dal Rilke dell'Orfeo, che pretende l'occhio apollineo per poterne raccontare l'ebbrezza. In altre parole questo movimento è «la virtù del chiodo che regge frattura / e vuoto svela la falsità del niente».

Costruire su quel vuoto, amando quanto ci rimane e avanza, ispira entrambi i libri, che hanno nel fiorire – in questo verbo decisivo per la cultura moderna, da Novalis a Pascoli sino all'Ereignis heideggeriano – l'imprendibilità dell'origine e la forza della nascita, dell'aprirsi al senso delle cose.

Carracchia vorrebbe tenere sulle punte anche la scrittura, sapendola esercizio massimamente difficile. E infatti lo è perché talvolta, soprattutto nelle quartine, qualche semplificazione si avverte (rime facili o soluzioni tematiche a sentenza secca, comunque ben presenti anche in Caproni sin da Il muro della terra, per cui difficile rimproverarlo senza sentirsi in difetto). In ogni caso, io lo preferisco quando il respiro si fa più ampio e l'arco del pensiero sboccia senza fretta; del resto, anche molte quartine si lasciano gustare, ed è quando, forse memori dell'haiku o della concinnità classica, circoscrivono azioni ordinarie, dando loro valore universale. A 23 anni mi pare un traguardo di tutto rispetto.



Da il verbo infinito


“la semplicità non è il punto di partenza, ma il fine”



(dalla sez. Esistere)


Mi sono fermato -nel silenzio
metafisico che precede un assedio spartano-
ad ascoltare il battito del cuore
vecchio tamburo di latta
e ho sentito il suo lieve percepire
la musica che nel lontano Catai fanno i bambù
quando sono accarezzati dal vento


come le scarpette di un fiore
io voglio essere unito
e sempre slacciato




(dalla sez. Amare)



*

Se chiedi a me perché
amore, ti rispondo non so
e se so non capisco.
Ma c'è un fiore sulla mia scrivania
un fiore di carta, amore mio.
L'hai portato stamattina
in abbonato col caffè.
C'è un fiore di carta
solo per me, tutto rosso
e gli abbiamo dato da bere
a più non posso

perché il nostro amore
è più grande del sapere
e cresce.



(dalla sez. Sbendare)


Libertà è cadere, ma dura poco dirai
e forse è proprio vero -o magari veritiero-
che Pollicino sfalda e sbriciola focacce
solo per perder meglio le sue tracce


Libertà è cadere, e dura poco
se pensi all’eternità
ma è un’eternità
se mentre lo fai non pensi a niente.



(dalla sez. Condividere)



................Alla ragazza Carla,
...............al padre Elio Pagliarani

*

Anche la vita, se vuoi capirla
devi lasciarla andare
e poi cercarla in mezzo agli altri.

Probabilmente qualcuno
avrà capito che la settimana
disabitua dalla domenica e
che il settimo giorno ci si trova
soli come fosse il primo di una
creazione in atto, e nessun matto
al primo giorno già dispera
che la vita è una soluzione
momentanea, poco bella.
Sorridi stella, sorridi ancora
non fermarti ora, è quasi lunedì.
Curati adesso del tuo giardino,
dattilografa garofani
che agli occhi dei passanti
insegnino la vita.





Da La virtù del chiodo


«Chiodo: sottile barra di metallo aguzza da un lato,
solitamente usata per unire o sostenere due (o più) parti;
dal lat. clàvus per mezzo delle antiche forme chiàvo,
chiòvo (dalla stessa radice di clàvis – chiave)»



I


................Così chi cerca a lume di candela
................il passo dell’ombra che il dubbio smuova
................per primo a trapasso silenzio trova
...............e disperato a verità anela




*

Poiché ogn’essere è carpentiere
del tessere il proprio mestiere
e ogni luogo che ha in sé famiglia
porta il mistero dell’occhio, le ciglia.

(Che non puoi piantare un chiodo
in cielo per appenderci un pensiero
mi chiedo, sarà poi così vero?)



*

Sputa al vuoto il ragno tra i cotoneastri
la propria casa a geometria degl’astri
istituisce e ispira l’imperfezione
nostra: il difetto all’azzardo ripone.

Il ragno inquadra, mira e anzitutto osa
(sarà questo il mistero del chiodo:
tingilo d’azzurro e piantalo nel vuoto)



*

La virtù del chiodo che regge frattura
e vuoto svela la falsità del niente:
compiutezza del ragno che ha mura
e casa in aria d’un prisma lucente.



II




*

Rivolta la terra il gelo e in roccia
s’abbarbica al cielo esposta la pianta
a strapiombo il terebinto sboccia

forza che squarcia e fendendosi vanta
virtù che s’attacca al calcare in sintassi
e alla vita dona un nome: spaccasassi.



*

A te che cima di bellezza e mondo
per prima hai colto con mano sul mio
volto a premura di madre che va
in fondo e non invano rendo grazie
al tuo universo, tu seconda
persona singolare che m’hai preso
ed immerso feconda compagna
universale in te ritrova grazia
il disperso che impara
il buon uso del sale:
rinsalda a condimento la ferita
ed evita di confondere il male
col rosso che disinfetta la vita.



Giuseppe Carracchia, nato nel 1988, laureando in lettere moderne, vive attualmente a Catania. Ha pubblicato 4 sillogi di poesia: Pensieri notturni (ed. Edessae, 2005), Anime vagabonde (Roma, 2007), Il Verbo Infinito (ed. Prova d’Autore, 2010), La virtù del chiodo (L'Arca Felice, 2011) e una piccola raccolta, Poesie col nastro rosso, nell’antologia Burattinai di parole (Ass. cult. Città Nuova, 2010).

6 commenti:

  1. personalmente non concepisco il desiderio di pubblicare pubblicare e fare uscire continuamente testi, in breve tempo e poi definire una raccolta già libro o tessitura di libro prima che nasca.
    ma aldilà della scelta condivisibile o non, trovo questa poesia molto tenera quanto loquace. nella loquacità difficilmente si ferma la tenerezza eppure qui i versi parlano e sparlano tanto teneramente. a lungo andare questa penna diventerà sempre più visionaria, ne sono certa (nel senso buono e giusto del termine, usato in poesia).
    ci sono dei versi che fermano lo sguardo, trattengono un attimo il respiro, limano la vista.
    amata molto la musicalità, in alcuni punti un corredo naturale.
    per il resto auguri per gli anni di poesia che verranno (visto che sei comunque dell'88 :) e la cosa fa sentire vecchia pure me!!!! )

    Anila Resuli

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  2. in generale, sono d'accordo, ma questi due libri hanno una struttura riconoscibile. sarebbe stato un peccato non pubblicarli.
    del resto rimbaud a 23 anni aveva già smesso di scrivere :-)

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  3. Bravo Giuseppe Carracchia!

    Un poeta gentile.

    saluti,

    Giampaolo

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  4. chi scrive tanto però da giovanissimo o smette di scrivere o continua a scrivere la stessa poesia tutta la sua vita.
    speriamo questo giovane autore continui a maturare invece e a scrivere!

    a rileggervi,
    Anila

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  5. è già virtù chiamare a titolo il chiodo -

    sono contenta di leggere finalmente Giuseppe Carracchia - non lo conoscevo ma ne avevo sentito parlare - non avevo mai letto i suoi testi -

    e faccio tanti auguri a lui e al chiodo!

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  6. hai visto quanti siciliani, ultimamente?

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